La mia patria...  Agg. 2 Novembere 2002

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Oltre

 Contro la ingiusta detenzione di Adriano Sofri

Libero Sofri, liberi noi

Adriano Sofri

 "...Ho corretto le bozze. Finisce un altro Aprile. Fuori piove da due giorni, e c'è una guerra da quattro settimane. Sono qui da ventiquattro mesi. Sette paia di scarpe ho consumato, e non sono andato da nessuna parte...."

Adriano Sofri

Per contribuire alle spese legali : c/c postale 12150561
Intestato a: Liberi Liberi Lungarno Pacinotti, 12 - Pisa


Breve storia del processo ad Adriano Sofri

In  WeBOltre - Incontro con Adriano Sofri

IL CASO SOFRI - Cronaca di un'inchiesta - di Daniele Biacchessi


Sul numero di "Panorama" in edicola il 4 Ottobre:
«Wojtyla davanti alla cella»
di Adriano Sofri.

La visita che il Papa farà al Parlamento riunito, il 14 novembre, riporta l'attenzione dei detenuti sull'indulto. Forse si illudono. Ma di certo la loro protesta non violenta è un esempio di dignità.


Adriano Sofri su "la Repubblica" del 25 Settembre 2002 un articolo che è il seguito del precedente del 17/9. E dove si parla della nuova forma di protesta attuata nella carceri italiane dopo quella del "carrello". Se ne riportano di seguito alcuni stralci.

Per una settimana nessun naso di detenuto si è affacciato all'aria. Domenica 21, pomeriggio, finisce lo sciopero e usciamo cautamente, perché si è scatenato fin dalla notte uno spettacolare nubrifagio.(...)Prendiamo le ultime decisioni sulla settimana nuova. Qualcuno in disaccordo manca. Ma i più sono convinti. Il giovane Bouskri fa un ultimo tentativo:" Per favore, piuttosto lo sciopero della fame, totale, ma la televisione no!...". C'è una risata generale, ma l'implorazione è la migliore spiegazione della decisione che abbiamo preso: una settimana di sciopero della televisione. Non si vive di solo pane, e qualcuno sacrificherebbe il pane piuttosto che la televisione.(...) Protesta uno:"Abbiamo fatto lo sciopero del carrello per una settimana, e l'Amministrazione non ci ha rimesso niente. Non siamo andati all'aria per una settimana, e tutt'al più hanno risparmiato sugli agenti. Adesso mettiamo fuori i televisori, e a loro non farà né caldo né freddo". Un pò è vero: si tratta di vedere se a noi interessa danneggiare qualcuno, o spiegare le nostre ragioni, e mostrare di tasca nostra che le prendiamo sul serio. I lavoratori in sciopero incrociano le braccia per i propri diritti e il proprio salario, e fanno pagare cara ai propri padroni la loro avarizia o la loro prepotenza. Ci rimettono il salario e guadagnano in dignità e solidarietà.(...) In carcere - niente auto, niente telefoni, né Internet, e nemmeno una normale lampadina - la televisione è ancora più sovrana. Fuori tiene chiusi in casa gli umani liberi; dentro i chiusi senza libertà non hanno atra finestra sul mondo". (...) Rinunciare a quello schermo d'ombre vuol dire seppellirsi in un sepolcro per vivi. Come il simulacro dell'aria dell'ora di passeggio, la televisione concede un simulacro di vista lunga in uno spazio che taglia corto lo sguardo. Tutto ciò è messo in causa dallo sciopero della televisione, (...) La lotta delle prigioni continua, ma le notizie si affidano a tamtam fortuiti, nocche battute sui muri. L'informazione pubblica aspetta l'incidente: dichiarazioni spinte di un ministro, violenze.

WebusaMagazine si augura che questa iniziativa trovi nei grandi mezzi di comunicazione lo spazio che merita. E che trovi spazio anche il "caso" personale di Adriano Sofri.


Webusa.it - il web ha un valoreAdriano Sofri ha scritto su "la Repubblica" del 17 Settembre 2002 un articolo sulla situazione delle carceri in Italia e sulle proteste che qua e là vengono messe in atto. Vediamo alcuni numeri sulla tipologia dei detenuti: dei 57000 detenuti il 47% è in attesa di giudizio e i tossico-dipendenti sono 15000, gli stranieri 17000, mentre il 45% dei detenuti sono originari di Campania, Sicilia, Puglia e Calabria. Riporto alcuni brani del suddetto articolo di Adriano Sofri, ovviamente è una testimonianza dal di dentro, visto che, come è risaputo, lo stato italiano ha perso le le chiavi della cella di Sofri.

Da sette giorni si fa lo sciopero del carrello, cioè del vitto, pane compreso, che viene distribuito  con un carrello, donde la dizione. Non è un digiuno, perché si consuma il cibo comprato in carcere o portato dai familiari. Ammesso che si abbiano famigliari o euro. Gli stranieri, e molti italiani, non ne hanno. Dunque lo sciopero del vitto, anticamera dello sciopero della fame gli equivale già per molti. Bisogna che chi non ha ammetta di non avere - spesso se ne vergogna -, per orgoglio. Bisogna che chi non vuole partecipare lo faccia senza subire pressioni.(...)
Ora ci mettiamo in cerchio, e parliamo di come continuare nella protesta indetta da Rebibbia e altre carceri maggiori. Poiché non si tratta né di una vertenza sindacale, che supponga una trattativa, né di una spallata, che ammetta un  oltranzismo, ma di dare durata e calma a una testimonianza, si decide di passare a una settimana di sciopero dell'aria. L'espressione è appropriata, fa immaginare una gente che boccheggia, una specie di apnea fisica e spirituale. Non si esce all'aria, né piccola né grande per una settimana.Non si vada a camminare su e giù come le pantere spelate allo zoo, né ad appoggiarsi al muro con gli occhi chiusi, né a giocare a pallone, né a star seduti a guardare il cielo sopra di noi. Sacrificio da poco, direte be', provateci. La galera è appunto un luogo estremo, dal quale sono abolite le cose di mezzo che fanno la vera vita, quelle di cui neanche ci si accorge più. In galera tutto è nulla, perché si è animali incattiviti e mutilati di tutto, e però i dettagli minimi si prendono un peso enorme.

Intanto sono saliti a 95 i penitenziari che aderiscono alla protesta pacifica organizzata dai detenuti per ottenere migliori condizioni di vita, sanitaria e di prospettive. E i sindacati del settore penitenziario hanno scritto una lettera aperta al ministro Castelli: «Se ha prove incontrovertibili a sostegno delle sue dichiarazioni  ("la sinistra soffia sul fuoco del disagio carcerario"), ne dia pubblicazione. In caso contrario, misuri i toni delle sue affermazioni, che rischiano di mettere in serio pericolo la sicurezza del sistema e degli operatori che nel sistema lavorano con sacrificio.»
Chiudiamo con le parole di Sofri: «Ben venga, chiunque, a mettere il cappello su questa feccia vilipesa. Ben fosse venuta, la grande manifestazione di San Giovanni, a metterci su un berrettino caldo.»



Falcone e Borsellino

Da un nostro collaboratore un ricordo
Per Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

(..)Falcone, Falcone, Falcone. L'emblema di una speranza, di una possibilità, di un sogno, ultimo e arduo vessillo prima della disfatta. Ora, infatti, la disfatta; come mai avrei voluto accadesse, a cui mai avrei voluto sopravvivere per raccontarla. Ricordo, purtroppo, voci di campo: "se l'è cercata", o, in quella chiesa di pietra, l'omelia del cardinale: "mentre a Roma si parla Sagunto viene espugnata". No! Roma? (..)

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