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Sciuscià


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Liberiamo la tv

di Michele Santoro

da Micromega (I girotondi della libertà)

Naturalmente Francesco Merlo non ha niente da dire adesso. Le sue acrobazie retoriche, la raffinata erudizione, il talentoso sarcasmo con il quale ha bersagliato i girotondi sono pagine accartocciate di un vecchio giornale. Berlusconi non ha ascoltato i suoi miti consigli e ha ridicolizzato le ottimistiche profezie di quanti ritenevano che le sue «maldestre» dichiarazioni bulgare avrebbero rappresentato un'assicurazione sulla vita di il Fatto e Sciuscià. Questi programmi non saranno  in onda il prossimo autunno  in una stagione che rappresenta per il governo la  prova più difficile dal punto di vista sociale e dal punto di vista giudiziario.

Vedremo quanti saranno a protestare tra coloro che si autodefiniscono liberali, vedremo quanti tra gli «esegeti dell'obiettività» riusciranno serenamente a constatare che non solo il presidente del Consiglio concentra nelle sue mani il controllo della totalità delle televisioni, di molti giornali e della parte maggiore delle risorse pubblicitarie ma che non mostra alcuna tolleranza nei confronti degli spazi che ospitano pensieri diversi dal suo. E, quando può, procede al loro annientamento. C'è chi giustifica tutto questo con le regole del maggioritario e dello spoils system. Ma non c'è nessuna legge in Italia che preveda la sottomissione della Rai all'esecutivo, e non c'è nessuna possibilità legale di decretare la chiusura di un giornale con un suo pubblico.

Sciuscià, infatti, non è soltanto Michele Santoro ma una factory, in cui lavorano decine di giornalisti e tecnici stimati in Italia e all'estero, il prodotto di punta di Raidue con un costo di 180 mila euro e un valore pubblicitario di 300 mila euro a puntata. Ma soprattutto Sciuscià è un appuntamento a cui tengono molti milioni di spettatori. Ed un modo originale di fare televisione.

Il presidente del Consiglio può decretare la chiusura di una fabbrica? Può mettere fuorilegge chi ci lavora? Può bandire le idee? Vorrei una risposta da chi continua a baloccarsi in uno stucchevole dibattito regime/non regime.

Ho sempre ritenuto il cosiddetto conflitto di interessi un problema minore. C e un principio costituzionale più importante che viene violato quando si determina una così incredibile concentrazione di potere. Un principio del quale una democrazia sana non può fare a meno. La nostra Costituzione dice che ogni cittadino deve essere messo in grado di concorrere in condizioni di uguaglianza alle scelte politiche del suo paese. Questo principio è stato calpestato dalla mafia, da Tangentopoli e da Silvio Berlusconi. Il mio amico Libero Grassi, che per essersi ribellato al pizzo è morto ammazzato con i sandali ai piedi in una strada di Palermo, diceva: «Buoni politici fanno buone. leggi, cattivi politici fanno cattive leggi. Ma c'è un solo modo per distinguere i buoni politici da quelli cattivi. il modo con il quale conquistano il consenso». L'inquinamento mafioso, le tangenti, il monopolio delle tv sono altrettante manifestazioni della manipolazione del consenso.

Come possiamo essere sicuri che il nostro presidente del Consiglio abbia conquistato i suo voti in maniera limpida? E questa la domanda a cui si  attende una risposta obiettiva e non faziosa.

Certo tutti riconoscono che separare Berlusconi dalle sue tv sarebbe stato un bene e i girotondi denunciano giustamente le omissioni imperdonabili dei governi di centro-sinistra. Ma il problema è: può esistere un Berlusconi politico senza televisione? Francamente penso di no. Il Partito popolare europeo ha accolto Forza Italia nelle sue file grazie ai buoni uffici dello spagnolo Aznar. E così un partito costruito a colpi di spot, senza tradizione, senza una vita e una forma democratiche, al cui interno nessuno si oppone al leader, è stato accreditato come grande forza liberale e moderata. Guarda caso la Spagna è l'unico paese nel quale la Fininvest possieda una televisione.

Oggi Mediaset può sperare di intervenire nella crisi del gruppo televisivo Kirch, tra i maggiori del mondo, in Germania. È fantapolitica pensare che in questo modo Berlusconi riuscirà ad influenzare la Dc tedesca, una forza decisiva nel determinare i comportamenti del partito popolare europeo? E fantapolitica immaginare che la televisione sia adoperata come un'arma per ribaltare la vocazione europeista del Ppe? E se invece si trattasse di un pericolo reale Silvio Berlusconi farebbe o no più paura di Haider?

Mi si potrebbe obiettare che se Mediaset non rileva il gruppo Kirch i sospetti si sgonfiano. Ma supponiamo fantapoliticamente che il governo italiano porga a Murdoch i diritti del calcio su un piatto d'argento. E poniamo che Murdoch contribuisca a trovare la soluzione ai problemi del gruppo Kirch. Saremmo tranquilli? Mi piacerebbe che Napolitano e Amato e Boselli si addentrassero tra queste semplici questioni prima di continuare a ripeterci in chiave di ammonimento che il governo Berlusconi non può essere buttato giù con una spallata.

Per la prima volta oggi la Rai è minacciata nella sua esistenza. Qualcuno potrebbe malignare che si sta realizzando il piano della P2, dal momento che ci stiamo rassegnando a considerare Canale 5 la prima rete televisiva. Soltanto che non si parla più di spezzettamento e privatizzazione. L'azienda radiotelevisiva pubblica sta subendo una profonda trasformazione, da spazio aperto a tutte le culture a struttura statale al servizio del governo. I valori tipici del giornalismo, indipendenza e obiettività, vengono sostituiti con quelli più ambigui e minacciosamente favorevoli al potere di neutralità e pluralismo perfetto. Qualunque inchiesta e qualunque posizione dissonante divengono praticamente impossibili. Il consiglio di amministrazione smette di essere luogo decisivo per le scelte editoriali e di viene sede di permanente discussione dell'operato degli autori. Con la conseguenza che chi lavora in televisione viene sottoposto a tre forme diverse di controllo, tutte di derivazione partitica: la commissiome parlamentare di vigilanza, l'authority per le comunicazioni, il consiglio di amministrazione. Anche a questa situazione si è giunti per la mancanza di cultura liberale del centro-sinistra, che invece di risolvere il conflitto di interessi ha costruito una rete di norme e di istituzioni limitanti la libertà d'espressione (par condicio eccetera).

La Rai assume esplicitamente finalità pedagogiche ed educative e smette progressivamente di essere un occasione laica per il cittadino di scegliere liberamente tra un panorama di notizie e di interpretazioni. In questo modo si regala a Mediaset, ovvero al principale competitore, l'intero campo della libertà, della creatività, della satira dissacrante, provocando un divorzio con il pubblico cosiddetto di sinistra, il più affezionato al marchio, quello più pronto a battersi per difendere la natura pubblica della Rai.

Naturalmente Berlusconi si intende troppo di televisione per amare la teleyisione pedagogica e sventola questa bandiera al solo scopo di indebolire il suo concorrente. La sua vera cultura e il retroterra della sua azione politica si potrebbero definire il McDonald's dei sogni.

Non sono l'informazione, i contenitori satirici, i Porta a Porta, il veicolo su cui punta in via principale Silvio Berlusconi. Il presidente dà Consiglio ama Chi (che è di sua proprietà e ha preso a descrivere la sua famiglia come una dinastia regnante) più del Giornale. E sicuramente legge poco il Foglio. Sà che la sua forza risiede nella convinzione diffusa che il mondo non sia trasformabile, che gli avvenimenti importanti siano fuori dalla portata degli individui, i quali al massimo possono occuparsi del proprio ombelico e della propria forma fisica e spiare dal buco della serratura il mondo dei vip.

Ma il grande imbonitore sa anche che nessuno può rinunciare ai sogni. La sua televisione è soprattutto una fabbrica di sogni: sogno numero uno, numero due, big sogno. Sogni già confezionati, facili da consumare, alla portata di tutti, che non richiedono grandi sforzi. E proprio come nei McDonald's, entrando nel Grande Fratello, paghi e ti fanno pure portare il vassoio. Dentro il McDonald's dei sogni, il sogno Berlusconi è collocato naturalmente sugli scaffali. Come il lieto fine di una soap.

Vorrei infine spiegare in quale momento si sta procedendo alla chiusura di Sciuscià. Siamo in una fase di recessione e si fa fatica a tenere in piedi una strana televisione come quella italiana, a riempire di contenuti sei reti televisive. Ricordo che negli Stati Uniti, con più di 200 mllioni di utenti, ci sono soltanto tre network generalisti.

Mediaset è un' azienda troppo piccola per giocare un ruolo nel panorama internazionale. Inoltre produce in proprio pochissime idee adoperando in gran parte format di acquisto. Dunque non è economicamente at traente né per le sue dimensioni, né per il suo know-how. Mediaset vale molto solo perché produce altissimi profitti (è la quinta azienda in Europa) e occupa gran parte delle frequenze in chiaro, impedendo ad altri soggetti di affermarsi.

Fino ad oggi questo ha costituho il duopolio perfetto: a Mediaset il monopolio delle risorse pubblicitarie, alla Rai quello del canone. Il problema è che la Rai ha smesso da tempo di vivere di canone; e le sue entrate dipendono per il 50 per cento dalla pubblicità. Di conseguenza, se la sua offerta non è concorrenziale con Mediaset le sue entrate commerciali tendono a ridursi e l'azienda a deperire. In questo momento Mediaset vede ridursi, a causa della recessione, il margine di utile e il valore del marchio che da esso dipende. Ha perciò deciso di ridurre di 160 miliardi di vecchie lire le spese per i programmi alfine di tenere alti i profitti. LA7 si proponeva di svolgere un ruolo ai margini del sistema, prevedendo una raccolta di soli 150 miliardi. Ma Mediaset non può tollerare nemmeno questo: il titolo sarebbe crollato in Borsa. Se poi la Rai, per recuperare pubblicità, avesse investito sui programmi la situazione per l'azienda di Berlusconi sarebbe diventata drammatica.

Perciò LA7 è stata strozzata nella culla e la Rai ha improvvisamente scoperto di essere sull'orlo del fallimento e di dover risparmiare sui programmi.

Sciuscià muore anche perché occorre calmierare l'offerta. L'azienda pubblica produrrà sempre meno prodotti di lunga serialità e di costo medio e brucerà ingenti risorse «nei grandi eventi». In questo modo Mediaset avrà campo libero per dedicarsi ai programmi di lunga serialità, gli unici che garantiscono veramente gli investitori pubblicitari.

Berlusconi riporta la tv al monopolio, ai tempi di Bernabei. Ma la tv democristiana era la televisione di un paese in crescita, anzi la tv che pro- muoveva la crescita di un paese. Tv pedagogica, paternalista, rassicurante, ma che si proponeva progressivamente di allargare gli spazi di partecipazione.

Il  monopolio di Berlusconi  è, 'invece, un tentativo autoritario di governare la crisi del sistema televisivo italiano. Riduce per la prima volta in maniera drastica il pluralismo e l'offerta e passa disinvoltamente dall'esaltazione del liberismo selvaggio «del vietato vietare» all'imposizione statalista del linguaggio unico.

Purtroppo la sinistra non ha mai scommesso sulla libertà: se avesse creduto nel mercato avrebbe privatizzato la Rai e se avesse creduto fino in fondo nella Rai pubblica l'avrebbe resa più indipendente. Ha oscilliato tra ritenere Berlusconi il modello da imitare, sentendosi orfana del Grande Fratello, oppure ha pensato di combatterlo con l'arma spuntata della lottizzazione. Ma Berlusconi può essere combattuto solo con l'arma della libertà. Quando nel paese si è sollevata una ondata di indignazione per le dichiarazioni bulgare si sarebbe dovuto andare da Ciampi e sbattere i pugni sul tavolo. Si è preferito trattare per conservare qualche lotto di riferimento. Speriamo che si ravvedano. In fondo Berlusconi, chiudendo Sciuscià, mostra la sua vera faccia, quella di un monopolista autoritario che è costretto ad aver paura anche di un solo programma. Uno che per avere ragione deve proprio chiudere tutto.

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